ANORESSIA: storia di Cristina
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ANORESSIA: storia di Cristina

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Cristina (nome di fantasia) ha difficoltà di concentrazione a scuola ultimamente, lei sempre così attenta e scrupolosa, sempre così ligia al suo dovere di studentessa

Cristina ha continuamente freddo e ogni mattina arriva in classe sempre più nascosta in strati di maglioni, uno sull'altro. Cristina chiede di andare spesso in bagno. Un giorno una compagna di classe mi ha confessato che quando va in bagno in realtà va a vomitare la brioche o i crackers che le compagne, a ricreazione, l'hanno convinta a mangiare.

ANORESSIA: storia di Cristina
ANORESSIA: storia di Cristina

 

Cristina è sempre più magra, quasi scheletrica, è pallida e ha il viso scarno. Eppure Cristina è una così bella ragazza, con quei due grandi occhi scuri che ti scrutano, ti interrogano e ti chiedono aiuto. Più volte ho chiesto a Cristina di parlare con me, ma lei ha rifiutato: "sto bene", mi ha detto. Poi un giorno sono riuscita ad aprire una breccia nella sua anima e lei si è confidata, mi ha abbracciato ed è scoppiata a piangere. L'ho convinta ad avere un colloquio con la giovane psicologa che opera nel centro di ascolto del nostro istituto.

Come avviene in questi casi, la psicologa deciderà se convocare anche la famiglia, e se far intervenire i servizi sociali. Cristina ha diciassette anni e soffre di anoressia nervosa. Sono riuscita a far parlare Cristina quando ho capito in che tipo di labirinto stava precipitando, o meglio era già precipitata. L'ho fatta sentire compresa e le ho mostrato in me stessa la forza di essere riuscita a vincere questo mostro spaventoso. Sono un'educatrice, un'insegnante e soprattutto sono una donna che nella sua adolescenza ha attraversato questo mare tempestoso dell'anoressia e ha trovato, negli anni, la forza, la volontà, l'aiuto e l'energia per poterne venire fuori.

Come sempre, l'empatia, la condivisione del profondo ed intimo sentire hanno aiutato l'altro, Cristina in questo caso, nel dare la consapevolezza dell'ascolto e della comprensione. L'anoressia e la bulimia sono le principali forme di alterato comportamento alimentare che esprimono un disagio psicofisico derivante da motivazioni di ordine individuale, familiare e sociale. In realtà, però, l'origine di queste patologie è diversa da caso a caso. Il rifiuto del cibo e il desiderio di vivere in un corpo che sparisce hanno radici complesse.

Ogni anno, in Italia, si verificano circa 55.000 nuovi casi di anoressia e 70.000 casi di bulimia, con esiti di mortalità al 15 per cento. La parola anoressia, dall'etimologia di origine greca, significa "mancanza di appetito". La patologia colpisce soprattutto la fascia di età, in prevalenza femminile, che va dai 12 ai 25 anni. La bulimia, etimologicamente "fame da bue", colpisce invece la fascia di età che va dai 12 ai 35 anni. Apparentemente le due patologie sembrano opposte, in realtà vi è una analogia così forte che spesso possono convertirsi una nell'altra.

L'anoressia ha un esordio graduale che può per un certo periodo passare inosservato: l'alimentazione viene drasticamente ridotta, e di conseguenza il peso corporeo si riduce drasticamente, talvolta a livelli incompatibili con lo stile di vita. Anche la bulimia ha gli stessi esiti di perdita di peso, perché mentre all'inizio si caratterizza con un anomalo aumento della sensazione di fame, viene poi seguita dall'eliminazione del cibo con vari metodi. Uno degli ostacoli più difficili da superare di fronte a persone che vivono questo dramma è il loro rifiuto a parlare del problema e, quando poi queste persone accettano di avere aiuto, hanno di solito un comportamento contraddittorio.

Era il 1989 quando cominciai a sentirmi scomoda all'interno di un corpo con qualche chilo in più. Ero un'adolescente non convenzionale, intellettualmente esigente, fragile e silenziosa. Cominciai a fare attenzione a ciò che mangiavo, diminuendo drasticamente il cibo fino ad arrivare a fare dei digiuni da anacoreta. Arrivai persino a dare il mio cibo al gatto di casa, oppure a nasconderlo dappertutto, nei cassetti e negli armadi, salvo poi eliminarlo e gettarlo via nell'immondizia quando ero fuori da occhi indiscreti.

Ma non mi sentivo debole, anzi avevo una grande sensazione di controllo, su me stessa e su ciò che mi circondava. Ma ciò che mi rendeva veramente forte era il senso di controllo che sentivo di esercitare su quelli che mi stavano vicino e che erano naturalmente preoccupati per me. Avevo dei rituali precisi e però continuavo a sentirmi forte.

Quando arrivai a pesare 44 chili cominciai ad avere degli squilibri endocrinologici, persi il ciclo e comincia a soffrire di incontinenza. Di pari passo anche l'attenzione nello studio diminuì e rimasi indietro di un anno con gli esami universitari. Alla fine non riuscivo più ad alzarmi dal letto.

Ai miei tempi l'anoressia era una malattia per lo più sconosciuta e non esistevano dei veri e propri protocolli di cura. Mi facevano qualche flebo e mi davano degli integratori. Mentre dentro di me ricorreva la domanda inespressa: come si fa? Che cosa devo fare?

Intanto la magrezza e la evanescenza diventavano sempre di più per me uno stato dell'essere.

Chi ha vissuto da vicino questa malattia sa che ad un certo punto, se l'esito della malattia non è irrecuperabile, si trova una risposta ai propri interrogativi, per vie diverse, attraverso percorsi personali. Soprattutto ad un certo punto si arriva ad accettare di essere malati, si arriva a capire che non sei tu a controllare tutto ma che è il controllo che ti domina.

Ripresi a mangiare, come un bambino che viene svezzato, con mia madre che mi imboccava come se lo fossi. Ancora oggi la ringrazio per avermi dato la vita due volte. La realtà è che forse non si guarisce mai del tutto, ma si impara ad accettarsi e a conoscersi. Anzi a riconoscersi. Si impara ad accettare che la perfezione non esiste ma che esiste la propria umanità e il proprio essere. Sovente si incontra qualcuno che ti aiuta, anche dopo anni, ad accettare il tuo essere unica e insostituibile. Qualcuno che ti aiuta a capire che non bisogna scomparire per farsi guardare, che bisogna imparare a gestire la propria parte di emotività, quella che faceva prima tanta paura. E che si può essere ascoltati. E amati. Senza bisogno di scomparire.

Oggi per fortuna è possibile guarire con più facilità e l'obiettivo può essere raggiunto seguendo un percorso terapeutico mirato, con un approccio alla cura che è duplice: si deve curare il corpo e la mente.

Il mio, il nostro augurio, è che Cristina trovi la strada che la porti, anzi che la riporti al più presto a se stessa.

Loredana Chiarello